Leggere è uno dei pochi spazi di libertà che ancora possiamo concederci. Siamo noi a scegliere di prenderci del tempo e di dedicarglielo.
Come nella musica sono importanti le pause, i silenzi; i libri offrono questa possibilità che ci è negata da altri strumenti: fermarci dove e come vogliamo, su un passaggio, una frase o una parola che ci risuona particolarmente e rifletterci.
In quel momento elaboriamo informazioni: pensiamo.
I libri richiedono attenzione e tempo restituendocene sotto altre forme, facendoci vivere altre vite e conoscere spazi e tempi anche impossibili da visitare fisicamente.
I libri ci danno parole per cose che sentiamo ma alle quali non sappiamo dare un nome o riusciamo a esprimere, dandoci uno strumento, un potere in più. Non di rado chi ha finito di leggerli fa un sospiro, li richiude con gratitudine e li accarezza con gentilezza prima di metterli via.
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Trovo improbabili le teorie secondo le quali eliminando dei termini dai libri di Dahl i bulli smettano di usarli semplicemente perché temo che i bulli non leggano i libri in generale, non solo quelli di Dahl. Non sto affermando che i bulli siano tali perché non leggono ma ho imparato che i libri, tra le altre cose, ci insegnano l’empatia, facendoci entrare nelle vite degli altri.
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Chi dice che alcune parole uno scrittore non le doveva usare nel suo libro -scritto in altri periodi storici- per non rischiare di offendere qualcuno oggi, ho l’impressione che stia offendendo l’intelligenza degli stessi che pretende di difendere.
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Davvero pensiamo che l’esplorazione della profondità dell’animo umano possa prescindere da alcune parole solo per la paura di offendere qualcuno?
E che tipo di lettori sono quelli incapaci di capire il contesto nel quale una parola viene usata?
Bisognerebbe chiedersi che tipo di lettori/lettrici siano, nel momento in cui uno scrittore riesce a strappare il cuore con quello che scrive, evocando il dolore del mondo o lo schifo o la miseria umana, invece di sentirsi grati per aver fatto provare loro delle emozioni, si offendono perché ha urtato la loro sensibilità.
Se un autore riesce a farci arrabbiare perché ci sconvolge togliendoci qualche certezza, dovremmo complimentarci con lui perché ci ha fatto crescere.
Ci sono scrittori capaci di terrorizzarci portandoci sull’orlo dell’abisso: dovremmo forse denunciarli perché soffriamo di vertigini?
Dobbiamo davvero stare a discutere della scelta delle loro parole o apprezzarli perché ci hanno fatti sentire meno soli?
Se uno decide, deliberatamente e gratuitamente, di insultare una intera categoria umana più fragile è un bullo, un idiota; non un bravo scrittore.
Ma se uno è bravo, le parole sulla carta le misura tutte scegliendo di metterle esattamente dove e come vuole (senza menzionare tutti i passaggi e modifiche che avvengono in casa editrice). Bisognerebbe averne rispetto.
Se uno sa usare bene il sarcasmo, la provocazione, lo humor nero o siamo abbastanza intelligenti per capirlo oppure che lo sdegno sia con noi.