3-ALZARE LA TESTA DAL FURBOFONO





Il mercato della droga come modello ideale di marketing.



Perchè la tecnologia non è neutrale e non dipende dall'uso che ne fai.





Tempo fa sentivo l’ennesimo annuncio di un comitato genitori di una scuola.

Volevano organizzare degli incontri per istruire gli studenti sull’uso sicuro dei social network; erano giustamente preoccupati dalle notizie sul cyberbullismo e per l’uso sconsiderato dei furbofoni e del computer che ne faceva la prole.


Forse per un accumulo pregresso di chiacchiere su quest’argomento, ho avuto una specie di epifania… uno di quei momenti nei quali una stupidaggine ti si rivela per quello che è: una stupidaggine, appunto, seppure dettata dalle buone intenzioni.

In quel momento ho realizzato due cose:

La prima è che dovrebbero essere i genitori e gli adulti in generale ad essere istruiti e educati (o ri-educati). Un genitore che riprende a tavola il figlio che scalpita per vedere il suo telefonino mentre il primo non resiste a rispondere alle chat, non credo sia un buon esempio educativo e neppure incentivarne l’uso a scuola da parte di un Ministro (per poi pretendere che non si distraggano) mi sembra una grande pensata; somiglia più a una resa. I

o, essendo uno di quelli che hanno studiato per diventare da grande un vecchio rompiscatole, dico che per ora a scuola dovrebbero essere banditi (a partire da quelli degli insegnanti). Punto e basta. Quelli che hanno studiato da genitori apprensivi di solito rispondono: “Ma io voglio che mio figlio sia raggiungibile”.

Io allora faccio notare che esistono pure collari/cavigliere/braccialetti elettronici oppure chip con gps da impiantare sottopelle che adempirebbero ottimamente alla funzione. So che l’idea solletica il politicamente scorretto e il piccolo fascista che è in tutti noi. In fondo (spero molto in fondo) vorremmo tutti essere dei piccoli Bezos o Musk e la tecnologia ci offre l’opportunità di soddisfare ogni nostra ossessione da “control freak”.


Solitamente a questo punto i genitori desistono (perlomeno a discuterne con me). In attesa che superino queste assurde inibizioni verso un futuro più sicuro e controllato, propongo -per rispondere alle ansie di cui sopra- una dotazione di telefonini per l’infanzia con la potenza dei nokia di almeno 20 anni fa. Solo sms e chiamate a 5 numeri: mamma, papà, nonni e 118. Magari fatti un po’ più fighi, col design stondato, “che se no se ne vergognano”.

L’ansia di controllo dei figli, infatti, non credo giustifichi il fatto che certi genitori regalino loro un Furbofono da un migliaio di euro e più per poi pretendere che lo usino solo per lo scopo al quale serve un telefono.

Scusate il tecnicismo ma i cazzeggi elettronici (dei quali sono il primo ad ammettere il fascino) prima di una certa età credo dovrebbero essere limitati. I bambini potrebbero farli per un certo tempo al computer di casa, se i genitori si degnassero di controllare quello che fanno... (peccato che la maggior parte siano a cazzeggiare a loro volta su altri computer o furbofoni).


La questione è proprio questa: la minore età è fatta proprio curiosare, esplorare, per sbagliare e -possibilmente- imparare. Si chiama crescita mica per niente. Per fare questo c’è bisogno di “tempo da perdere” e questo non ci è concesso da una rete in cui qualcuno ha deciso di appropriarsene imponendoci come usarlo. E chiaramente avere degli adulti accanto che scelgano di dedicare tempo ai figli aiuta.


Questo mi porta alla seconda cosa che ho compreso grazie ai comitati di genitori preoccupati.

Circondati da un’aura di buonsenso e -spero- orripilati per le mie proposte estreme mi espongono una delle regole che anche i miei mi hanno insegnato da piccolo: “una cosa non è bene o male in sè ma dipende dall’uso che se ne fa”. Come molte delle cose belle-tonde-e-ragionevoli che diventano luoghi comuni, si scontra spesso con la realtà: non vale per tutto e men che meno per i Social o le App dei cellulari e, per come sono stati progettati, a mio parere I SOCIAL SONO IL MALE. Questa la dico così, perché ormai ci ho preso gusto.

Va bene, la spiego: non c’è una vera libertà di scelta sull’uso che ne facciamo, essendo già deciso a monte da chi li ha progettati e lo scopo è solo far guadagnare loro dei soldi. Normale e giusto? Siamo portati sempre più a giustificare il guadagno senza considerare l’etica e le conseguenze. Come definireste altrimenti una cosa che crea dipendenza facendo leva sulle debolezze, la solitudine e i vuoti delle persone dando loro l’illusione che una realtà virtuale sia sostituibile a quella reale? Realtà che si sovrappongono, con la prima che ruba tempo all’altra.


Se quello che ho detto sulla “malignità” dei Social era un’esagerazione, continuo a credere che non possa essere considerato un “bene” progettare e programmare un prodotto che tira fuori le parti peggiori degli esseri umani, sfruttando le loro fragilità, per farli diventare dipendenti dai likes o consumatori compulsivi.

Perché tirano fuori il peggio se gli stimoli positivi si rivelano più efficaci in diverse circostanze? Perché quelli negativi sono più economici e non danno il tempo di riflettere: è questa la visione commerciale a brevissimo termine con la quale pretendiamo di leggere e costruire la realtà. In questo senso è geniale: chi detiene i Social offre una piattaforma senza produrre effettivamente alcun contenuto; una scatola vuota che noi riempiamo -gratis- di contenuti e che ci pare “democratica”, dando lo stesso peso alla voce di chiunque (a scapito dell’informazione e della competenza, come abbiamo visto).


In partenza non credo se ne rendessero conto ma, una volta comprese le potenzialità, le hanno sfruttate: rendendoci dipendenti da una “scatola di vetro” che dà l’illusione di regalarci visibilità innescando il tipico meccanismo neurochimico di desiderio-ricompensa-frustrazione, in un circolo vizioso (per gli utenti) e virtuoso (per il proprietario).

È lo stesso meccanismo alla base di ogni dipendenza e sceglierlo come modello di marketing non è geniale: è da pusher. È cinico, non ammirevole. È furbo, che spesso è un’applicazione egoistica dell’intelligenza.


Dovremmo smettere di confondere l’invidia per il conto in banca con la presunta “genialità” di certe persone, ergendole a modello da imitare. Escludendo per ora soluzioni luddiste o il Grande Blackout (anche perché la tecnologia in sé può essere utile e divertente), credo si possa esserne consapevoli e cercare di usare i mezzi limitando i danni.

Si può tentare di evidenziare queste criticità e cercare di mostrare altre possibilità alla gente, tornando a fare informazione con altre modalità.

Si può pensare di vivere senza Social, smettendo di credere che fuori da questi non esista vita. Si può tornare a discutere tra persone e creare occasioni per farlo, invece di chiuderle.

Possiamo tornare a fare cultura e politica tra e con la gente? È un problema che mi sto ponendo.

Essere consapevoli significa anche capire che molti come noi (cresciuti con telefoni dove si girava un disco per chiamare) sono stati abbagliati dallo schermo dei telefonini e dalle “facilità” che offrivano senza essere in grado di comprendere appieno cosa ciò comportasse.


Uno dei padri della Realtà Virtuale, Jaron Lanier ha detto: “Non possiamo vivere in una società in cui, se due persone vogliono comunicare, l’unico modo possibile sia finanziato da una terza che vuole manipolarle”. Avere un cellulare è come portarsi in giro la famosa “campanella” di Pavlov, che bastava a far salivare un cane, dopo averlo educato a ricevere un biscottino al suo suono.

Le ricompense o le punizioni che ci vengono date sono solo simboliche, sono fatte di “likes” o da assenza di notifiche. “È più facile perdere fiducia, piuttosto che costruirla...”. Ammonisce le Grandi Compagnie (e non solo) Lanier.


È questo modello (direi molto primitivo) di business che domina la rete e la società che è da affrontare; i Social Network attuali saranno a loro volta vittime di altri pesci più grossi e voraci. Sarà una transazione e non ci sarà un grande frastuono ma qualcosa di triste e patetico: il pubblico seguirà quello che considera più trendy, come gli è stato insegnato. “...Richiede molto tempo costruire un amore e molto poco per rovinarlo”.